Pur essendo una località turistica, Nyaungshwe è ancora il principale centro del commercio per i villaggi locali, nonché il punto di partenza delle produzioni artigianali dal lago verso il resto del paese. Barche lunghe e motorizzate trasportano i visitatori a villaggi tribali palafittati, fattorie e giardini galleggianti, pagode e galleggianti botteghe artigianali e della seta. La maggior parte delle costruzioni sul lago sono erette su palafitte, e le attività vengono svolte su piccole barche a remi o a motore che schizzano lente o veloci lungo i canali, e che trasportano persone e merci.
La voglia di vivere queste situazioni da vicino ci spingono a noleggiare biciclette dal gestore della guest house e, cavalcandole con la foga di bambini a cui è stato dato un nuovo regalo, partiamo in direzione sud alla ricerca di vita. Lasciato il paese ed attraversato il ponte sul canale, il caos del lungofiume scompare, dando posto alla tranquilla campagna: campi di riso in crescita, enormi stagni popolati da rigogliosi piante di loto in fiore, bufali che fanno il bagno noncuranti della presenza umana, contadini che lavorano la terra e sorridono al nostro lento passaggio. Poco lontano, le montagne iniziano ad essere illuminate da un debole sole mattutino che si fa sempre più intenso.
Il sentiero è sterrato e i trattori e le motorette che lo transitano sollevano un gran polverone, inclementi. Dopo una pedalata di circa un’ora raggiungiamo le sorgenti calde Hu Pin Hot Springs nella località di Kaung Daing, un villaggio Intha conosciuto per la produzione del tofu da fagioli gialli invece che verdi. Lì ci concediamo una serie di bagni bollenti e rilassanti. L’acqua calda proviene da una sorgente naturale a monte che viene ridiretta in tre diverse vasche, a valle, dove è mescolata con acqua fredda. L’acqua della prima vasca è a 70 gradi centigradi – inutilizzabile -, si passa poi ai caldissimi 50 gradi della seconda vasca per arrivare agli accettabili 40 gradi della terza. È presto e siamo i primi ad entrare; ci godiamo la quiete mattutina e ristoriamo ossa e muscoli stanchi dalla pedalata. Mangiamo un pasto soddisfacente di pesce di lago al ristorante palafittato del complesso, e ripartiamo poi alla ricerca di un imbarco sul versante ovest del lago, direzione sud.
Dopo una serie di contrattazioni, alcune caratterizzate da accese discussioni su prezzo e destinazione dapprima con una coppia di contadini, poi con un gruppo di giovani che caricano sulla barca enormi sacchi di juta pieni di arance, infine accordiamo un passaggio per il tempio di Phaung Dew Oo Paya con un barcaiolo che stava partendo vuoto. Tra noi e le biciclette, in un baleno gli riempiamo la barca. Il barcaiolo ci fa capire che è tardi e che il suo è un viaggio di sola andata. Non ci preoccupiamo più di tanto e ci godiamo il viaggio panoramico in barca.
Il tragitto è a dir poco interessante; affianchiamo e superiamo barche stracolme di famiglie e di grandi gruppi di gente che dai villaggi circostanti si dirigono al tempio per il festival annuale. Oggi è un giorno speciale per il Phaung Dew Oo Paya, che rappresenta il più importante luogo sacro nello stato dello Shan del Sud. Dentro alla sua pagoda dal tetto multistrato, questo colorato tempio ospita quattro antiche immagini del Buddha, alle quali i fedeli applicano foglioline d’oro che li hanno trasformati, negli anni, in masse dorate amorfe. Una volta all’anno, queste immagini, che normalmente sono custodite in bella mostra dentro un padilione all’interno della pagoda, vengono portate da una chiatta ornata in cerimonia attorno al lago.
All’arrivo, scarichiamo le biciclette, le leghiamo ad un palo della luce sotto lo sguardo curioso dei tanti presenti nella piazza del tempio, e ci apprestiamo a goderci il momento. Ci siamo persi la cerimonia principale, ma riusciamo nonostante a vedere parte del festival. Ci sono famiglie locali, alcune che vengono da villaggi contingui, altre dalle colline circostanti. Sfoggiano vestiti e costumi sgargianti, collane di pietre, amuleti, e portano offerte di cibo, bevande e foglie dorate per il Buddha. Gruppi di allegri giovani vestono indumenti tradizionali dei contadini della zona e ballano e cantano, promuovendo il riciclo, la salvaguardia dell’ambiente e l’importanza di dare educazione ai giovani. Banchetti improvvisati vendono cibo locale quale frittelle di riso, roti, curry vari e dolciumi, nonché palloncini ed acquiloni per i più piccoli, e varie riproduzioni in miniatura delle reliquie e della pagoda per i visitatori che vogliano portarsi a casa un ricordo.
Visitiamo i dintorni e l’interno della pagoda, dove le masse dorate sono state ricondotte dopo il giro sul lago. Una passeggiata ci conduce al villaggio vicino dove i mercanti locali vendono souvenirs di tutti i tipi. Al ritorno alla pagoda, si sta facendo scuro; i mercanti ritirano le merci, la pagoda viene chiusa a chiave e c’è una gran confusione di gente che prende le barche per tornare a casa. È subito evidente che sarà dura trovare un passaggio, visto le nostre biciclette ingombranti che non possono di certo essere caricate su barche piene zeppe di gente. Inoltre, la maggior parte di quelli che interpelliamo scandendo bene il nome della nostra destinazione, Nyaungshwe, ci fanno capire che sono dirette in altre zone. Apparentemente, navigare al buio non piace ai locali, e Nyaungshwe dista un ora di barca da qui. Ci dividiamo per avere più possibilita nell’impresa e alla fine, quando oramai siamo rassegnati a trovare un posto dove dormire in zona e rientrare la mattina dopo, riusciamo a strappare un sì ad un barcaiolo che ci porterebbe dall’altra parte del lago, sul versante est, ad un villaggio chiamato Thale-U. Osservo la mia mappa: ci saranno almeno 10 chilometri da Thale-U a Nyaungshwe, una cosa fattibile se non fosse per il buio e per il fatto che non sappiamo che tipo di strada troveremo. Nessuno in zona parla inglese cosi ci affidiamo al fato, accettiamo il rischio e abbracciamo l’avventura.
Il tragitto sul lago è mesmerizzante: navighiamo in un silenzio rotto solo dal motore della nostra barca, mentre il cielo è oramai un’enorme distesa scura che si fonde con il filo dell’acqua del lago, anch’essa nera. Poche fioche luci ci avvisano di villaggi a filo d’acqua sulla costa orientale del lago. Il barcaiolo conduce il suo mezzo e ci osserva con aria sospettosa. Arriviamo ad un pericolante attracco palafittato di bambù e legno, circondato e quasi interamente invaso da piante ed erbe acquatiche, dove fatichiamo a scaricare le bici sulla passerella. Paghiamo e ringraziamo il barcaiolo, che retrocede e ci lascia in una situazione da film. Qualche stella in cielo, un cane che abbaia in lontananza e nulla più. Il sentiero è di fronte a noi, ma non lo vediamo. Procediamo cauti per qualche metro, cercando di evitare frequenti buche e solchi nel cammino; quanto riusciremo a reggere a questo ritmo? Forse non è stata un’idea brillante, era meglio restare a dormire al paese.
Non ci scoraggiamo e dopo una decina di minuti ad andatura rallentata, scorgiamo una casa che funge anche da improbabile negozietto di generi alimentari e di prima necessità. Entro tra lo sguardo allibito dei titolari, una famiglia di contadini sorpresissimi di vedere uno straniero in bici a quell’ora su quel sentiero. Acquisto una torcia di quelle da speleologia, corredata di un elastico da mettere a mo’ di fascia sulla testa, assieme ad un pacchetto di pile. Sarà la nostra salvezza! Percorriamo chilometri nel buio pesto, la sola fioca luce della torcia made-in-China ad illuminarci il cammino. Il sentiero è irregolare, a tratti fatto di saliscendi pesanti per le gambe che devono spingere biciclette datate e con cambi difettosi.
Sul cammino incrociamo qualche sporadica motoretta e qualcuno che passeggia in prossimità di frazioncine che comprendono poche case fatte di legno, bambù e paglia; ci guardano tutti esterefatti. Non una macchina, non una bicicletta. Il sentiero diventa a tratti strada che si allarga fino a terminare e tornare sentiero in un alternarsi che sembra non finire mai. Dopo più di un’ora ci troviamo in prossimità di un paio di lussuosi hotel costruiti sulla riva del fiume. Ne approfittiamo per chiedere a passanti se la strada è quella giusta, una domanda goffa, anche perché non ce ne possono essere tante. È più per rincuorarsi, per sentire che stiamo procedendo in questa impresa che, se dapprima credevamo dura da portare a termine, ora siamo certi di farlo.
Un nemico imprevisto arriva sotto forma di freddo, un’aria che si fa sempre più insopportabile visto che non vestiamo panni adeguati, e nonostante ci scaldiamo pedalando, la fatica ci induce a rallentare la marcia. Scorgiamo una baracca che funge da bar-ristorante e ci concediamo una sosta ed un té caldo ed un tradizionale sigarillo cheroots, riposando gambe e ossa. Ma aimé non sappiamo che ci aspetta ancora un’ora di pedalata prima della meta. Arriviamo in tarda serata, spossati ma felici di aver vissuto questa avventura. Ci concediamo una cena al ristorante nepalese, al quale arriviamo a 10 minuti dalla chiusura, e ci confortiamo con ottimi ricordi della giornata e con un caldo Té Masala speziato. Fa fresco per le strade di Nyaungshwe, si dormirà di gusto stanotte…