VIAGGIO AD INLE LAKE – IN AUTOSTOP – PARTE 3

Autostop

ragazzo a cavallo di un bufalo d’acqua

Oggi lascio che la provvidenza ed il caso mi portino con sé, come spesso faccio del resto. Riempio lo zainetto con frutta e snacks acquistati al mercato e m’incammino verso il lontano villaggio di Inthein, nella zona sud-occidentale del lago, sperando di arrivarci visto che le strade segnate dalla mappa non sono poi molto chiare. Dopo soli 10 minuti di cammino tra pacifiche strade di campagna, alzo la mano per fare autostop e fermo un giovane su di un motorino che ha visto tempi migliori; accetta senza fare storie di darmi un passaggio e mi porta fino alle sorgenti calde dove siamo stati ieri. Da qui mi incammino di nuovo; il lago e le campagne alla mia sinistra, le montagne sormontate da nubi bianche alla mia destra.

Dopo soli 5 minuti di passeggiata durante la quale assorbo le bellezze circostanti, un altro giovane in motorino si ferma senza nemmeno che io alzi la mano. Il suo inglese è scarso, ma ci capiamo e mi invita a salire sul suo mezzo semi-nuovo, del quale sembra andare fierissimo. È ben vestito e continua a girarsi verso di me e a parlare mentre guida; la motoretta solleva un polverone tremendo che mi entra in gola, e non capisco nulla di quello che mi dice. Quando capisce che che la mia intenzione è di arrivare a Inthein, ferma la moto e scoppia in una risata non offensiva. Mi fa capire che ci sono almeno altri 15 chilometri di strada sterrata polverosa e senza trasporti pubblici. Gli dico che non fa nulla, e gli faccio cenno di proseguire; passiamo il villaggio di Kaung Daing e arriviamo infine al suo paese, Lin Kin. Si ferma al bivio con la strada principale dove scendo e lo ringrazio. Mi guarda smarrito, è dispiaciuto che io non lo segua fino al suo villaggio, dove avrei conosciuto la sua famiglia, o che non accetti il suo consiglio di non proseguire. Mi guarda allontanarmi senza muoversi dal punto dove si è fermato, finché non lo perdo di vista.

Arrivo in prossimità di un hotel e noto un furgone che sta scaricando mercanzia per il ristorante. Entro nel locale e cerco di spiegarmi con l’autista e col titolare. Risulta che il camion va proprio a Inthein a consegnare cibarie e bevande! Entrambi parlottano un po’ e scuotono la testa. Da un lato vorrebbero aiutarmi, ma da quanto ho inteso, il giovane non vuole prendersi la responsabilità di portare con sé uno straniero. In più, mi spiega il titolare del ristorante in un inglese appena accettabile, il cielo minaccia pioggia e se dovesse piovere, questa strada si infangherebbe in tal modo che per il ragazzo risulterebbe impossibile rientrare col pesante mezzo, e io ne rimarrei bloccato con lui, cosa che al ragazzo non va a genio. Capisco e non voglio metterli in imbarazzo più di quanto ho già fatto. Esco ad osservare il cielo: grossi e minacciosi nuvoloni neri si avvicinano da tutte le direzioni. Decido mio malgrado, vista anche l’ora, di rinunciare alla missione, e torno sui miei passi.

Autostop

Monaco a Lin Kin

Tornato a Lin Kin, mi siedo in una casa da té e mi rilasso bevendo Le Peyé (nome che i locali danno al té nero) mentre socializzo con i proprietari e tutta la loro famiglia che mi osserva curiosa. Sulla strada, un ragazzino passa davanti al mio tavolo a cavallo di un bufalo dalle grandi corna e dall’enorme pene penzolante. Il bimbetto avrà sì e no 10 anni e ha già l’aria del contadino adulto, con le sue infradito, un cappello più grande della sua testa e a tracolla il tradizionale marsupio birmano. Non si sa bene chi di noi due guardi l’altro con più curiosità. Tutto intorno, scorci di vita contadina: campi coltivati, colline coltivate a piante da frutta, baracche ordinate fatte di bambù e col tetto in lamiera. Di fronte alla casa da té scorgo l’entrata ad arco di un tempio buddista. Pago il té, saluto la simpatica famiglia e attraverso la strada.

Nel cortile del tempio intrattengo famiglie di una tribù dai vestiti e copricapi particolari e variopinti, facendo foto ai bambini e mostrandogliele nel quadrante della Canon: sono esterefatti. Peccato non abbia con me una Polaroid per potergliene stampare una. Più in là, un gruppo di giovani monaci in tunica arancione gioca animatamente facendo ruotare con l’aiuto di una corda trottole rudimentali scolpite nel legno. Al mio tentativo di scattare una foto del campo giochi, mollano il tutto e si dileguano frettolosi, con aria preoccupata; alcuni, i più piccoli in particolare, si nascondono dentro gli edifici del tempio e si rifiutano di uscire, le loro espressioni spaventate. I piu grandicelli invece tornano fuori da dietro un’enorme tronco di un gigantesco albero dove si erano rifugiati, mi guardano con poca fiducia e si rimettono a giocare, ma non appena faccio cenno a portare la Canon all’occhio per scattare una foto, via che si dileguano di nuovo. No pictures, bofonchia uno di loro in inglese. Rispetto il loro volere e mi porto all’interno del tempio, dove c’è chi mangia, chi prega e chi beve té. Faccio amicizia con qualche personaggio tra i più propensi a socializzare, scatto qualche foto a loro ed ad alcuni monaci adolescenti e me ne torno sulla strada principale intenzionato a rientrare per evitare l’acquazzone in arrivo.

Fare l’autostop mi piace. Un altro giovane dall’inglese inesistente mi porta fino all’intersezione per Nyaungshwe, e dopo pochi minuti si ferma ad assistermi un uomo sovrappeso su di una sgangherata moto. Non sono molto convinto di questo passaggio, ma le nuvole sono sempre piu vicine e so che pioverà, è questione di tempo. Salgo e si parte; devo tenere le gambe a penzoloni per l’assenza di pedaline, impresa ardua lungo un tragitto dove il ciccione fa una media dei 10 all’ora e sembra voler centrare tutte le buche esistenti. Ha un aria beata e sorridente, come un enorme Buddha dei giorni nostri. Arriviamo a Nyaungshwe sani e salvi, e come di consueto, lo ringrazio e lui riparte soddisfatto di aver potuto aiutarmi.

Autostop

Un monaco entra in un tempio

È stata un’allegra gita che mi ha dato la possibilità di mescolarmi alla gente del posto, appurando che la maggior parte parla un inglese scarso o inesistente, che si fanno in quattro per aiutarti e che in loro si nota la voglia di rapportarsi con i forestieri. È metà pomeriggio. Mi fermo in un simpatico ristorantino sito in una strada laterale, dove mangio un insalata di mango accompagnata da un sostanzioso banana lassi mentre osservo il cielo scaricare un acquazzone tropicale che in soli 15 minuti inzuppa le polverose strade del paese.

Al porto, come di consueto il viavai di barche in legno che navigano il canale è intenso. Il sole si fa spazio tra i nuvoloni neri e colpisce i versanti occidentali dei monti. Il lago Inle si è rivelato un posto veramente piacevole, una tappa obbligatoria di un viaggio in Birmania. Peccato che presto sarà l’ora di ripartire.

Share This

About the author

Thomas has a university background in the UK and in Latin America, with studies in Languages and Humanities, Culture, Literature and Economics. He started his Asian experience as a publisher in Krabi in 2005. Thomas has been editing local newspapers and magazines in England, Spain and Thailand for more than fifteen years. He is currently working on several projects in Thailand and abroad. Apart from Thailand, Thomas has lived in Italy, England, Venezuela, Cuba, Spain and Bali. He spends most of his time in Asia. During the years Thomas has developed a great understanding of several Asian cultures and people. He is also working freelance, writing short travel stories and articles for travel magazines. Follow Thomas on www.asianitinerary.com

View all articles by Thomas Gennaro