SHAN STATE – FESTIVAL DI KAHTAIN PARTE 3

Festival di Kahtain

Incontro in pagoda

Dormo 11 ore filate e non sento nemmeno la litania delle 5. Dopo una colazione di biscotti casalinghi e té in una teahouse cinese, c’incamminiamo verso il tempio di Prie Jé, in direzione sud, a una mezz’ora di cammino da Namshan, dove si celebra l’ultimo giorno del festival di Kahtain. Attraversiamo una graziosa zona in collina con casette in legno contornate da ordinati giardini in fiore ed orti ben curati. La gente del posto ci saluta gioiosa, alcuni bambini giocano con colorati acquiloni che riempono il cielo sereno di una splendida giornata.

Mi intrattengo a conversare con un barbiere originario del Bangladesh il quale è propenso a parlare di politica; mi spiega che i birmani in generale sono ancora sospettosi delle mosse del governo centrale, che secondo lui ha secondi fini nonostante le recenti aperture. Le riserve naturali vengono vendute alla Cina, la quale finanza una zona del porto nella costa birmana, un gaseodotto ed un oleodotto che raggiungeranno Kumming nel sud della Cina, nonché una centrale idroelettrica nelle regioni birmane dell’Himalaia dove le popolazioni locali stanno organizzando proteste contro lo sfruttamento.

Mi racconta di come la sua famiglia si trasferì a Yangoon durante la guerra con i britannici negli anni ’40, per poi spostarsi qui nello stato dello Shan ad aprire negozi. A suo dire non gli è mai stata riconosciuta la nazionalità birmana e col tempo ha perso quella del suo paese, così dopo l’indipendenza del Bangladesh nel 1964 la sua famiglia non è potuta rientrare in patria. Dice di essere tutt’ora apolide. Mentre sta tagliando i capelli ad un giovane Shan, le forbici gli si aprono in due cadendo al suolo, e ce la ridiamo tutti di gusto. “Vedi? La Cina compra risorse buone e ci vende materiale economico, come i motorini, che sono talmente scadenti che spesso non vale la pena ripararli” commenta divertito. È convinto che la Cina stia facendo affari d’oro da queste parti, che la recente propensione del governo all’apertura sia solo temporanea, e che le cose torneranno a peggiorare. Lo saluto e lo ringrazio per la chiacchierata.

Festival di Kahtain

Preparazione delle decorazioni

Riprendiamo il cammino; la gente in processione verso la collina del tempio è tanta, tra loro vi sono parecchi anziani dai visi particolari, sorrisi orgogliosi e vestiti della festa. Tutti sorridono al nostro passaggio, e alcuni gruppi di giovani tentano un approccio con quel poco inglese che riescono a sfoggiare. Al nostro arrivo al tempio le cerimonie sono gia iniziate. Ci sono mercanti che commerciano cibarie e amuleti vari, nonché offerte per i monaci, e qualche anziano che veste costumi che rimandano a popoli tribali del passato, ma lo fa con una naturalezza che mi induce a pensare che siano semplicemente i loro vestiti di tutti i giorni.

Il festival di Kahtain si celebra una volta all’anno e a parte l’opportunità per i locali di incontrarsi, ballare e vestirsi bene, consiste nel fare offerte ai monaci ed alle monache dei villaggi. Denaro, coperte e altri oggetti di cui i monaci si servono vengono presentati con umiltà da ogni partecipante. Incontriamo subito Shandi, una delle due ‘guide’ conosciute a Namhsan, il quale ci invita dentro una baracca dove un gruppo di paesani si sta gustando un pasto di cibarie dall’aspetto piccante, seduti a gambe incrociate su tappeti di stoffa coloratissimi. Ci accomodiamo e ci viene servito un piatto da riempire attingendo dalle ciotole comuni al centro del tappeto. I curry sono buonissimi e hanno sapori indescrivibili. I paesani ci fanno sentire a nostro agio, ci osservano ma in maniera molto meno curiosa di come lo facciamo invece noi. Beviamo té, come di consueto, e Shandi ci racconta di alcune delle usanze del posto e dell’importanza del festival odierno, insistendo perché fotografiamo il tutto.

Ci congediamo ed usciamo a scuriosare tra le varie attività del tempio. In edifici diversi, la gente prega, mangia, chiacchiera, suona. L’ambiente è austero, questa gente non è di certo benestante, ma la loro autenticità e la loro apparente onestà ricopre il tutto di una solennità che sembra sopperire alle carenze materiali. Alcuni monaci e monache offrono la loro benedizione a tutti i presenti lì riuniti, mentre altri danno discorsi pubblici incentrati sulla felicità e sulla prosperità che questo evento porterà ai popoli dei dintorni. Siamo completamente assorti in questi rituali, il percorso per raggiungere Namhsan e il fango e la pioggia di ieri sono lontani anni luce.

Festival di Kahtain

Vista sul villaggio

Shandi sta per andarsene e ci invita a visitare il suo villaggio, a pochi minuti dal tempio. Ci arriviamo in 15 minuti di camminata tra gradinate e discese, accompagnati da alberi secolari dai rami fogliosi lunghi parecchi metri che ci coprono in parte dai raggi di un sole inclemente. In fondo al colle c’è uno spiazzo coronato da un bosco di pagode bianche: è il tempio del villaggio. Lì, ai piani alti di palafitte in legno massiccio, anziani uomini stanno preparando giganteschi bruciatori con rami di bambù, legnetti di pino ed incensi, ricoprendoli con enormi fogli di carta colorata prodotti in loco. Questi bruciatori arderanno per ore ed ore durante le cerimonie di chiusura serali.

Seguiamo poi il nostro amico fino ad un pittoresco villaggio di case di legno palafittate distribuite lungo una strada principale, come il resto dei villaggi, e circondato da valli e montagne. L’entrata di casa sua porta ad un’ampio salone che funge da sala e cucina, il pavimento è di terra battuta, le pareti sono ricoperte da economici fogli di plastica made-in-China; i divani di assi di legno non ci proibiscono di riposarci mentre Shandi manda la figlia a ‘fare la spesa’. Esco da casa e la seguo con gli occhi: passa da un paio di case dei vicini e ne esce con una serie di verdure, poi al rientro si cimenta nella creazione, su fornelli arrugginiti e con pentole che hanno sfamato generazioni, di un curry Palaung con riso e verdure fritte, delizioso a dir poco. Ci guarda per un po’ mentre mangiamo ad un tavolo traballante di legno marcio, e poi si mette a guardare karaoke thailandese ad alto volume nell’unico elemento elettronico di tutta la casa, una TV a schermo piatto che prima non si notava: era coperta da uno spesso sipario di lana! Beviamo té, mentre fuori un violento acquazzone si è fatto strada nel cielo che fino a poco prima era sereno.

Festival di Kahtain

abitanti del villaggio durante il festival

Una volta che la pioggia diminuisce, Shandi insiste per procurarci un passaggio per Namhsan con un motorino preso in prestito, ma ci ha anche informato che a breve passerà un bus così decidiamo di aspettare. Il bus arriva dopo soli 5 minuti e dire che è sgangheato è come fargli un complimento. Al suo interno, il pavimento è letteralmente coperto da compatti sacchi in juta pieni di té essicato che emettono un odore pungente nonostante tutti i finestrini siano aperti, rotti o mancanti. Té, té e ancora té, la vita a Namhsan gira in tutto e per tutto attorno a questa bevanda. I sedili del bus sono stati sbullonati e adagiati al di sopra dei sacchi, su di loro si è accomodato un gruppo di ragazzi che lavora nella fabbrica di té che sballonzolano ad ogni buca che prende il malmesso bus dalle sospensioni inesistenti. Preferiamo sederci sui sacchi, che sembrano di gran lunga più comodi; i ragazzi e l’autista ci guardano con aria divertita mentre subiamo i colpi inclementi. La strada si snoda tra i colli ed sembra decisamente più lunga del sentiero fatto a piedi per arrivare al villaggio; dai finestrini scorgiamo ben due stazioni di benzina (non ne avevamo ancora viste e ci chiedevamo come rifornivano i mezzi), ironicamente poste una di fianco all’altra. Ci facciamo scaricare alla periferia di Namhsan, giusto ad un incrocio dal quale sta passando una colonna di giovanissimi militari mal equipaggiati in pantaloncini e scarpette di tela verde, fucili ed altre pesanti armi e munizioni in spalla o a tracolla. Marciano verso il paese: sono le pattuglie del governo incaricate di scovare nei boschi gli eserciti di liberazione Shan, viaggiano a piedi per centinaia di chilometri per queste terre impervie, e per giunta non sono per niente viste di buon occhio dalla popolazione locale che li guarda storti al loro passaggio. Hanno visi dalle fisionomie diverse e sguardi sconsolati, e mi fanno decisamente pena: li immagino mentre subiscono l’imboscata di un gruppo di militi Shan ben armati ed abituati a questo clima e a questo intorno, e molto più motivati di loro.

Il sole torna a splendere ma è per poco. Mi fermo a redigere il diario nella sala da té dove hanno la TV satellitare: è in corso il solito zapping frenetico che passa da football a musica a documentari, con questi ultimi che sembrano avere la meglio. Esco che il sole è già calato e la strada è illuminata da centinaia di candele; i bambini si divertono con i loro innoqui petardi e razzetti, mentre il cielo si illumina di centinaia di lanterne di preghiera lanciate da vari punti del paese. Al monastero vicino al nostro alloggio, bimbi monaci giocano attorno al bellissimo stupa, accendono candele e formano disegni di cuoricini, di lettere, di animali, e si rincorrono felici. La luna piena illumina la sera a giorno, la gente del posto si riversa nelle strade, mentre nuvolette a pecorelle percorrono lentamente il cielo. È una sera speciale a Namhsan, purtroppo l’ultima per noi.

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About the author

Thomas has a university background in the UK and in Latin America, with studies in Languages and Humanities, Culture, Literature and Economics. He started his Asian experience as a publisher in Krabi in 2005. Thomas has been editing local newspapers and magazines in England, Spain and Thailand for more than fifteen years. He is currently working on several projects in Thailand and abroad. Apart from Thailand, Thomas has lived in Italy, England, Venezuela, Cuba, Spain and Bali. He spends most of his time in Asia. During the years Thomas has developed a great understanding of several Asian cultures and people. He is also working freelance, writing short travel stories and articles for travel magazines. Follow Thomas on www.asianitinerary.com

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