Hsipaw è una cittadina avanposto situata sulla strada per la Cina e popolata da gente appartenente all’etnia Shan. È qui che abbiamo fatto sosta dopo essere partiti da Mandalay in direzione nord-est, verso le montagne. La sveglia è di buon ora, prepariamo gli zaini e visto che è ancora presto ci concediamo una colazione in una caffetteria vicino al mercato dove ci propinano caffè annacquato e frittelle unte ma gustose. Al rientro alla guesthouse, il minivan sta aspettandoci; ci imbarchiamo sul retro del mezzo già stracarico di gente e sacchi di mercanzia e intraprendiamo il viaggio per Namhsan, verso le montagne. Il furgoncino si inerpica su di una strada asaltata solo a metà. Il viaggio diventa sempre più interessante man mano che ci allontaniamo da Hsipaw: i villaggi si fanno più radi e la gente cambia di etnia. L’asfalto ad un certo punto scompare del tutto, la polvere invade l’abitacolo e si cominciano a scorgere villaggi sempre piu primitivi, abitati da gente dalla pelle scura e dai tratti principalmente cinesi. Arriviamo a destinazione dopo ben 7 ore di calvario (per i miseri 80 chilometri…), tra salti e sbalzi su strade che spesso si convertono in cammini di pietra, con i corpi che duolono e un bisogno impellente di una doccia e di un bicchiere d’acqua.
E posso dirvi che valeva la pena: montagne e montagne nel cuore del Myanmar, colline coronate da villaggi nel mezzo di giungle, boschi di bambù e piantagioni di té. E nella parte bassa del fiume, risaie di un giallo ocra che contrasta col verde intenso dell’intorno e col marrone delle acque torbide.
Il dormiente paesone di Namhsan, un tempo capitale dell’antico Regno Shan di Tawngpeng, è abbarbicato tra i monti ad un’elevazione di 1800-2000 metri sul livello del mare, e funge quindi da belvedere ad una serie di montagne e colline che lo circondano. Alcune di queste colline sono coperte da piantagioni di té, altre da piantagioni di papaveri, queste piu discretamente nascoste alla vista… L’industria del té è la maggior risorsa della zona e dà lavoro a parecchi degli abitanti di Namhsan e dei dormienti paesi dei dintorni, gente amichevole di etnia Shwe (Golden) Palaung che vive in case di legno a uno o due piani coperte da tetti di lamiera arrugginita. Il nome Golden viene dalle cinture che indossano, appunto dorate. Questa etnia in passato indossava pure cinture in argento, ma l’alluminio ha da tempo preso il suo posto. A Namhsan sono pure presenti, in minoranza, gruppi etnici e tribali Kayin, Lisu e Shan, nonché indiani e cinesi. Il nome Namhsan significa ‘acque tremanti’; il paese fu così chiamato perché situato su di una palude che veniva allagata spesso durante il periodo delle piogge. I tempi d’oro di Namhsan furono il periodo dal 1920 al 1930 quando prosperò grazie alla presenza di miniere d’argento nonché, appunto, dall’industria del té.
Posiamo gli zaini nell’unica guesthouse della zona, situata sulla strada principale: un grande casone in legno stile cinese dipinto di verde, a due piani, e gestito da ufficiali del governo. Ci impossessiamo di una stanza costruita interamente in legno, di dimensione piccolissima e con bagno esterno, ma con una finestra che dà sul retro della struttura; soddisfiamo i bisogni primari ed usciamo ad esplorare i dintorni. Sono le tre, e il sole già comincia a calare dietro le cime dei monti. Namhsan è praticamente un largo stradone sulla cresta di una montagna ai cui lati vi sono verdi vallate e viste sui paesi sottostanti. È certamente più grande e più pittoresco di quel che immaginavamo. I locali ti regalano un mengalaba (hallo) quando ti incrociano, guardandoti incuriositi.
Veniamo subito avvicinati da due ‘guide’ del posto che ci invitano a bere un té in una delle tradizionali teahouses del paese. Sembra che questa sia una delle attività predilette dai locali. Ci si siede in sgabelli bassi e ti viene servito in un tavolone fatto di assi di legno un termos di plastica tappato da un tappo di sughero il quale ritiene il tepore e la freschezza della bevanda scura che contiene: Le Peyé. La teahouse è buia; teiere, piatti, scodelle, muri e bancone sono coperti da una fuliggine formata dal fuoco a legna che arde in continuazione per scaldare acqua che riempirà le caraffe del té. La televisione a schermo piatto (!) è sotto il controllo di uno degli avventori, il quale pratica l’internazionale abitudine dello zapping, passando da news a documentari, a sport e telenovele, in un infinito cambio di canali ad un’intermittenza di circa 5 minuti per sessione, il ché non lascia il tempo di fidelizzarsi ad uno dei programmi.
Seguiamo poi i nostri nuovi amici per una passeggiata ad un belvedere in cima ad un colle, dove osserviamo uno stupendo tramonto multicolore. Socializziamo con loro facendo le curiose domande del caso, mentre le nostre macchine fotografiche immortalano i magici colori di un tramonto spettacolare.
Dalla chiacchierata scopriamo che Namhsan è di fatto una zona conflittiva e che il paese marca la fine della zona dove viaggiare è permesso agli stranieri. I guerrieri del fronte di liberazione Shan combattono da anni una battaglia più psicologica che reale con soldati del governo centrale. Queste rappresaglie provocano tensioni che spesso risultano in divieti di visitare questa regione, col governo che applica l’off-limit alle rotte di trekking per ovvi rischi di rappresaglie verso gli stranieri. Nonostante ciò, i due nuovi amici mostrano una predisposizione a chiacchierare e ad aiutarci nella nostra ricerca di zone da scoprire. In effetti la ragione che ci ha spinto fin qui è principalmente che Namhsan è un ottimo punto di partenza per i trekking nella zona, ed inoltre perché è abbastanza poco battuto dai turisti grazie alle terribili condizioni delle strade che lo raggiungono. Le strade sono problematiche soprattutto durante la raccolta del té che si svolge tra aprile ed agosto, quando la rotta per Namhsan è spesso bloccata da camion carichi all’inverosinile e talmente pesanti che si impantanano nella terra bagnata.
Una delle due ‘guide’ ci lascia; invitiamo il simpatico Samir, l’altro dei due, a mangiare in un ristorantino gestito da cinesi, dove ci consiglia una buonissima ciotola di piccantissimi Shan Noodles, il piatto tipico della zona. In seguito passeggiamo fino a casa sua, poco lontano, dove sua moglie ci prepara un té (tanto per cambiare) e lui tira fuori una chitarra che ci passiamo a turno, intonando melodie e chiacchierando del più e del meno. Dopo un’oretta ci congediamo; la strada principale è buia e pressoché deserta, la temperatura è gradevole, e un’arietta fresca arriva dai monti. Un aura di mistero avvolge Namhsan a quest’ora della sera, sono solo le 8 ma c’è silenzio, negozi e ristorantini hanno chiuso i battenti, e così pure le sale da té. Qui si va in branda presto.
Siamo stanchi ma soddisfatti. L’indomani inizieremo l’esplorazione delle montagne. Namhsan era proprio il posto che cercavamo. Qui ogni tentativo di contatto col mondo esterno e’ futile. Commentiamo la giornata mentre la temperatura scende, e ci copriamo con le pesanti coperte messe a disposizione.