HSIPAW – UN TRANQUILLO STOPOVER

HsipawLasciamo Mandalay a malincuore ma con la voglia di esplorare quella che qui chiamano ‘la via per la China’. Il bus è comodo, si inoltra nelle colline e dopo poco raggiunge la città coloniale di Pyin Oo Lwin, dove i colonizzatori britannici risiedevano quando il caldo di Mandalay diventava troppo opprimente. Ci fermiamo per una sosta pasto per poi ripartire immediatamente alla volta di Hsipaw, descritta dalla guida come “un tranquillo stopover”. Dopo circa tre ore di viaggio ci imbattiamo in una serie di tornanti in salita dove un camion che si è ribaltato alcuni tornanti più in alto costringe il nostro mezzo a seguire una colonna interminabile di camion che trasportano massi, legna, sabbia, impalcature, ruspe e mattoni (sembra proprio che l’industria della costruzione sia in auge in Myanmar), a tratti alternati a pick-ups carichi di passeggeri e mercanzia, nonché alcune autovetture. Il buio è arrivato presto ed è pesto come la pece; i mezzi incolonnati formano una striscia di lucine che si muovono a periodi alternati e solo in un senso di marcia: il nord. A volte seguiamo i passeggeri locali che scendono curiosi o a fumarsi una sigaretta o a fare un bisogno quando la sosta si fa troppo lunga; discorrono animatamente sull’accaduto, creando gruppetti con autisti e passeggeri di altri mezzi, per poi risalire in fretta e furia quando la coda sembra muoversi e gli autisti li chiamano a squarciagola e mettono in moto il mezzo.

Una serie di posti di blocco e ben 7 ore dopo, eccoci avvicinarci a Hsipaw, avanposto di etnia Shan. Un paesone che all’apparenza sembra fantasma: case in legno, taverne e negozietti chiusi, alcuni personaggi dall’aspetto cinese, scuri di pelle, occhi a mandorla. Fa decisamente fresco. Dopo aver vagato in un paio di strade lunghe, buie e deserte che corrispondono al ‘centro’, ci sistemiamo in una guest house in legno modello baita svizzera, solo leggermente meno lussuosa… Sono le 10, abbiamo fame e la calmiamo nel localino vicino dove una famiglia nepalese (regalo dell’era coloniale britannica) serve té e chapati indiani ad una clientela mista di Shan, indiani, musulmani e birmani. Ci sediamo in sgabelli in legno ultra bassi e ci gustiamo té nero e chapati osservando il viavai di gente. È incredibile come tante etnie e razze diverse convivano in questo paesone polveroso. Il freddo si intensifica, il sonno pure. La doccia è fredda ma il letto è reso caldo da una spessa coperta di lana.

HsipawIl buongiorno è alle 7; fa ancora freddo. Usciamo ad esplorare il paese e lo scopriamo totalmente diverso dalla sera prima: il caos è totale, con camion che si spartiscono le strade con biciclette, mercanti, chioschi, meccanici, passanti e turisti. Uno spesso polverone si alza perennemente dalle vie dissestate; i marciapiedi sono interrotti o divelti, le buche sono frequenti e larghe, i ciottolati si alternano a tratti cementati a malomodo, rendendo una semplice passeggiata un’impresa. Il tutto fa sì che il paese sembri immerso in una nebbia; il fumo vaporoso esce dalla bocca mentre respiriamo, ma già il sole sta dissipando l’umidità e scaldando l’aria. Dopo aver fatto colazione decidiamo di dirigerci verso il fiume alla ricerca di qualcosa da fare. Passiamo il mercato e raggiungiamo la zona residenziale di casette e baracche affacciate sul fiume. Socializziamo e comunichiamo in qualche modo con la gente fuori dalle loro case, che ce la mette tutta per capire cosa vogliamo esattamente e per aiutarci, qualunque questa cosa sia. Il fiume Dokhtawady è pulito e le sue acque sono limpide, ma si dice che le sue correnti siano pericolosissime, e la gente del posto racconta di malevoli nat (spiriti) che attraggono chi vi nuota verso la morte certa. Mmmm.

Riusciamo infine ad accordarci per un giro in barca con la moglie di un barcaiolo, il quale non sembra dell’idea di interrompere il pasto, ma che accetta, si cambia e mette in acqua il suo barcone di almeno 10 metri del quale sembra andare molto fiero. Risaliamo il fiume per qualche chilometro osservando vita rurale, contadini, bufali che ruminano o che tirano aratri, risaie, bimbi che scorrazzano o che fanno il bagno nelle sue calme acque. Il barcaiolo fa una tappa dopo quattro chilometri e ci porta a visitare, a piedi, un villaggetto sviluppato sulle rive del fiume: casette in legno, pietra o bambù dove le donne cucinano, lavano i panni o puliscono delle pannocchie e gli uomini fabbricano pareti o artefatti in bambù o tetti di paglia. C’è calma, ordine e pulizia tra le viuzze sterrate del villaggio, e tutti i paesani ci salutano al nostro passaggio.

Hsipaw

Il nostro barcaiolo

Riprendiamo la barca e risaliamo il fiume ulteriormente fino al chilometro 7, in prossimità di un ponte in ferro, dove il nostro cicerone fa dietro-front e si appresta a rientrare. Ci facciamo lasciare a tre chilometri da Hsipaw per poter farci una passeggiata e vivere il posto con tranquillità. Ci congediamo e camminiamo lungo il sentiero che costeggia la riva del fiume. Facciamo un paio di soste, una per mangiare un piatto di noodles preparati ad arte da una donna che gestisce un chioschetto improvvisato: la pagoda di bambù dove mangiamo è stata costruita letteralmente ‘sul’ fiume, mentre la cucina della quale si serve è quella di casa, appena più in alto sul colle. Alla periferia di Hsipaw, verso le cinque, passiamo al lato di un tempio che ospita una scuola per monaci dove assistiamo alla fine delle classi, e ci uniamo alla fila di bimbi monaci che rientrano alle loro case; il traffico si fa più intenso man mano che entriamo in paese e la polvere la fa da padrona. La giornata è stata calda ma ventilata da una piacevole brezza fluviale.

Passiamo la serata a bighellonare lungo la centrale Namtu Road, dove fino alla tarda ora delle 9 (!) locali e turisti cenano nei tanti ristoranti della via. Noi ci gustiamo un piatto di Shan noodles da Mr.Food, un po’ per il nome un po’ perché pubblicizza birra Dagon alla spina. Mr.Food è solo uno dei tanti negozi che sfoggiano il Mr. davanti al nome qui a Hsipaw; noi dormiamo alla Mr.Kid Guesthouse, abbiamo visto la Mr.Charles Guesthouse, la libreria Mr.Book, la succheria Mr.Shake e altri di cui non ricordo il nome. Pare che gli abitanti di Hsipaw pensano che a noi stranieri piacciano questi simpatici ed inusuali nomi delle loro attività, e sembra pure che la loro strana tecnica di marketing funzioni…

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About the author

Thomas has a university background in the UK and in Latin America, with studies in Languages and Humanities, Culture, Literature and Economics. He started his Asian experience as a publisher in Krabi in 2005. Thomas has been editing local newspapers and magazines in England, Spain and Thailand for more than fifteen years. He is currently working on several projects in Thailand and abroad. Apart from Thailand, Thomas has lived in Italy, England, Venezuela, Cuba, Spain and Bali. He spends most of his time in Asia. During the years Thomas has developed a great understanding of several Asian cultures and people. He is also working freelance, writing short travel stories and articles for travel magazines. Follow Thomas on www.asianitinerary.com

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