Ci svegliamo presto e ci dirigiamo verso il mercato di Hsipaw per far colazione al negozietto che vende té nero e chapati con curry. C’è un sacco di gente locale per la strada, e ci informiamo a riguardo: risulta che Hsipaw ha una popolazione di 30,000 persone, altro che paese semi-deserto! Mentre ci rifocilliamo, discutiamo di come passare la giornata, decidendo infine di dedicarla alla natura con un trek alla cascata della quale ci hanno parlato.
Camminiamo decisi verso le colline e arriviamo in prossimità della stazione dei treni di Hsipaw, dove attraversiamo i binari invasi da gente, mucche e bambini. Passiamo poi tra piccoli villaggi Shan dove la gente ci saluta sfoggiando espressioni gentili ed amichevoli; il sentiero che ci porta tra le risaie verso la cascata si fa sempre più piccolo, e la scena sempre più rurale. È abbastanza evidente che Hsipaw è un importante centro agricolo: ci sono risaie, piantagioni di cocomeri, di papaya, campi di carote e di cavolfiori. In prossimità di un trattore e di un cumulo di pannocchie, ci fermiamo a socializzare con una famiglia di contadini che riposano sotto una baracca di legno e bambù. Fumiamo un cheroot assieme ai capostipiti e facciamo foto ai loro due bimbi che ci osservano curiosi, e poi impazziscono di gioia quando gli mostriamo il quadrante con le loro foto appena scattate. La loro presunta mamma ride divertita alla scena mentre si lava con addosso un sarong lungy nel torrente vicino. Il resto del sentiero è in salita fino a raggiungere una cascata imponente con tanto di laghetto sottostante dove ci concediamo un bagno di acqua fresca e limpida che ci ridà forza dopo le due ore di cammino sotto il sole. Da lì si ha una stupenda vista sulle vallate sottostanti; al loro margine, le case di Hsipaw.
Al rientro ci dà un passaggio un contadino che trasporta pannocchie nel trailer del suo trattore; ci accomodiamo sul duro cumulo giallo, sopportiamo stoicamente i colpi dovuti alle buche nell’asfalto e ci facciamo lasciare alla stazione dei treni, dove sta per arrivare il regionale delle 15 che da Mandalay porta a Lashio, città a 100 chilometri dal confine con la Cina. Questo, come tutti i treni che provengono da Pyin U Lwin, ha dovuto attraversare il Viadotto di Gokteik, il manufatto più significativo di questa linea ferroviaria, nonché il ponte piu alto del Myanmar. Completato nel 1900, si dice che sia stato costruito per durare 100 anni, e ciò significa che sta durando piu del previsto; di fatto i treni lo percorrono a velocità molto limitata per evitare di causargli traumi strutturali. Una buona ragione forse per arrivare a Hsipaw in bus…
Ci sono gruppi di tutte le razze che aspettano il convoglio, oltre a mercanti di frutta, di betel, di té, e un paio di bancarelle permanenti che vendono biscotti, caffé e snacks, dove faccio la conoscenza di una delle proprietarie. È una simpatica signora di mezz’età dalla faccia impiastricciata di tanaka, che mentre si mangia foglie di betel mi spiega che è cattolica e che ancora si ricorda un po’ di italiano dai tempi della scuola dalle suore! Sua figlia (o nipote), una bimbina sui tre anni dalla testa rapata, le unghiette di mani e piedi smaltati, e anche lei la faccia coperta da tanaka, sta seduta su di un gradino mangiandosi un gelato con le dita e guardandoci divertita. E mentre il tempo passa e le 15 pure, esploriamo la stazione entrando in un ufficio dall’aria coloniale che mi ricorda le stazioni indiane costruite nel 1800 dalla East Indian Railway Company, con le pareti in assi di legno smaltate color crema, i mobili di ferro arrugginito dal clima dei tropici, il vecchio e rumoroso ventilatore che gira, le tabelle degli orari scritte a gessetto bianco su lavagne che pendono da incerti chiodi, ed un funzionario in camicia bianca, pantaloni di lino e ciabattine infradito che conta dollari americani e li annota a biro alla voce ‘entrate’ in un registro in carta color marroncino sbiadito. Se non fosse per i dollari e per la penna a sfera, potrebbe davvero essere una scena di oltre un secolo fa. Tra i tabelloni sulle pareti, tutti scritti in caratteri birmani a me incomprensibili, e di fianco ad un orologio a muro che chiaramente segna le 15 e 20, vi è una scritta in inglese che dichiara “saremo sembre in orario”…
Torniamo verso il paese percorrendo stradine di periferia dove osserviamo artigiani lavorare legno, borsette, e fabbricare sigarette cheroots. Ci imbattiamo in una fabbrica di noodles dove giovani leve producono, a mano, degli spaghetti che che poi faranno parte di due dei piatti piu famosi della zona: Mohinga, una zuppa di pesce e noodles, parte essenziale della cucina birmana considerata da molti il piatto nazionale del Myanmar, e i Shan noodles, piatto tradizionale dei popoli Shan! Al tempio hindù contempliamo un gioioso e preciso costruttore di pagode nel bel mezzo di un opera nuova, mattone rosso su mattone rosso. Mr Ashà, visto il nostro interessamento alla sua opera, ci invita a bere un té alla struttura al lato dove, seduti ad un tavolo, ci racconta la storia della sua vita, da bambino discolo in India a costruttore di pagode in Myanmar, elencandoci fiero i nomi e le località di tutte le pagode che ha costruito durante la sua carriera.
La strada principale è ora invasa dai locali con le loro sgangherate motorette; passiamo di fianco a 3 bambini monaci in saio color amaranto che imbracciano fieri repliche di pistole automatiche e di fucili a pompa, una visione un poco incongruente che ci lascia perplessi, accompagnata dai loro mezzi sorrisi. Li guardiamo allibiti, ma continuiamo la marcia per soffermarci subito dopo ad un tempio buddhista dove sembra ci sia l’ordinazione di un gruppo numeroso di monache. Siedono a centinaia nel largo salone del tempio, hanno la testa rasata e sono vestite in tonache rosa, recitano mantra o ascoltano i sermoni di un sacerdote dall’aspetto importante. I canti religiosi si mischiano ai rumori del traffico fuori, mentre scende la notte.
Il film d’azione hollywoodiano visto su una TV a 13 pollici appesa con un precario braccio di ferro al soffitto in un baracchino che ci serve fagioli e roti, unico piatto nel menu, ci ricorda che un paio di giorni a Hsipaw sono più che sufficenti per i nostri gusti.